Un cero pasquale che – a causa della morte del Papa – è diventato un cero funebre al fianco del Santo Padre.

Il cero è stato realizzato nel santuario di Sant’Antonio a Polla, il convento della lacrimazione del santo, da fra’ Carlo Basile. Il monaco francescano, originario di Bracigliano, è noto per la sua bravura artistica oltre che per la sua grande spiritualità e umanità. Crea ceri ma non solo: ha una formazione artistica a tutto tondo che ha portato con sé anche una volta indossato il saio, nel 2002. Da tre anni è frate del convento di Polla oltre che cappellano dell’ospedale “Luigi Curto” sempre di Polla.

A lanciare ieri mattina la notizia GIOVANNA ABBAGNARA

nel suo articolo pubblicato su Punto Famiglia che riportiamo qui di seguito :

Oggi ci fermiamo davanti a una fiamma viva: quella del cero pasquale che veglia la bara di Papa Francesco. Un cero fatto con le sue mani, decorato con cura e fede da Fra Carlo Basile, frate minore della comunità del Santuario antoniano di Polla, in provincia di Salerno. Un segno silenzioso e pieno di senso. La luce accesa non è solo un ornamento liturgico, è un annuncio: la fiamma della Risurrezione che non si spegne, nemmeno davanti alla morte. Ma è anche qualcosa di più: un invito alla preghiera, alla veglia, alla custodia della Chiesa. C’è una preghiera che arde anche quando le parole mancano. E la Chiesa ha bisogno di questa fiamma accesa: di occhi che vegliano, di cuori che intercedono, di mani che non si stancano di pregare.

Torna, inevitabile, il legame tra Papa Francesco e il santo di cui porta il nome. Ma oggi vorrei che questo legame non venisse ridotto — o peggio, strumentalizzato — soltanto ai grandi temi del creato o della pace, che pure restano fondamentali. C’è dell’altro, c’è di più. C’è una radice spirituale da non perdere di vista: la spiritualità eucaristica del frate di Assisi e la sua bruciante preoccupazione per l’unità dei suoi fratelli.

San Francesco parlava dell’Eucaristia con parole tremanti di amore. Non era mistico per evadere dal mondo, ma per abitarlo con occhi nuovi. Vedeva nel Pane spezzato la presenza viva e vulnerabile del Signore, e tremava all’idea che potesse essere trattato con leggerezza. Il suo amore per l’Eucaristia era concreto, non decorativo: la voleva custodita, amata, vissuta. Papa Francesco, allo stesso modo, ci chiede da anni di non abituarci al miracolo. Di non lasciarci anestetizzare. Ci ricorda che ogni Messa è un terremoto di misericordia, che ci plasma e ci invia. Per entrambi — il Papa e il Santo — l’Eucaristia è il grembo della fraternità, il luogo da cui tutto nasce.

E poi c’è l’unità. Non l’uniformità, ma quella comunione fragile e preziosa che nasce dal riconoscersi fratelli “dati” gli uni agli altri. San Francesco l’ha sentita come una ferita sempre aperta: voleva che i suoi frati restassero uniti, anche quando le strade si facevano diverse. Papa Francesco vive la stessa tensione: non quella del comando, ma dell’invocazione. La Chiesa, ci dice, è bella quando cammina insieme. E se inciampa, si rialza insieme.

Allora oggi, davanti a quel cero modellato da un frate francescano, possiamo forse fermarci anche noi. In silenzio. A contemplare questa luce che non grida, ma illumina. E lasciare una preghiera per chi, passando, avrĂ  bisogno di calore, di unitĂ , di Eucaristia. Di Francesco.