Era il 15 marzo 2015 quando la 22enne Jessica Sacco si tolse la vita lanciandosi dal balcone di casa, in località Mandia ad Ascea marina.
E sotto processo, per maltrattamenti in famiglia aggravati dall’evento morte, sono finiti il padre e il fratello della ragazza. Ma ieri, davanti ai giudici della Corte di assise di Salerno e dopo oltre quattro anni di udienze, c’è stata la svolta: il pm Luigi Spedaliere del Tribunale di Vallo della Lucania ha chiesto la condanna solo per maltrattamenti: 3 anni per il padre Luigi Sacco e 2 anni e 6 mesi per il fratello Stefano Sacco.
Al termine del dibattimento, a parere della pubblica accusa, è venuta meno l’aggravante dell’evento morte così come le aggravanti dei comportamenti abbietti e futili motivi: una derubricazione del reato, rispetto alla contestazione iniziale che ha portato la celebrazione del processo davanti alla Corte di assise, che è stata accolta con soddisfazione dal difensore, avvocato Antonello Natale (i Sacco, per il reato contestato inizialmente rischiavano una pena dai 12 ai 24 anni di carcere) che, nell’arringa prevista a febbraio prossimo, punterà sull’assoluzione piena per entrambi gli assistiti perché il fatto non sussiste. La vicenda scosse notevolmente la cittadina cilentana: l’estremo gesto della 22enne (che era stata candidata alle elezioni amministrative) sarebbe avvenuto mentre il padre e il fidanzato litigavano aspramente. La famiglia di Jessica, infatti, non approvava la relazione sentimentale con quel giovane che probabilmente «non reputava all’altezza». L’ennesimo litigio scoppiato all’interno del bar che la famiglia Sacco gestiva: «È certo, però, che la famiglia Sacco non immaginava le conseguenze a cui Jessica è poi pervenuta», ha affermato il pm in un passaggio della requisitoria pronunciata ieri mattina.
Per il magistrato, però, le accuse relative ai maltrattamenti rimangono a carico dei due imputati: il pm, infatti, ha parlato di «calci e schiaffi che padre e fratello davano alla ragazza, ma anche di minacce ed ingiurie, anche poco prima che si lanciasse nel vuoto», elencando una serie di testimonianze ascoltate in dibattimento. Molti, secondo la ricostruzione accusatoria, erano a conoscenza delle problematiche familiari di Jessica che «non godeva più della libertà che aveva prima della scoperta, da parte della famiglia, della relazione sentimentale tanto da privarla anche dell’indipendenza economica nonostante la ragazza lavorasse nell’esercizio commerciale della famiglia». In dibattimento ci sono state anche testimonianze a discarico e gli stessi familiari hanno sempre negato ogni ipotesi di maltrattamento, sollecitando sin da subito verifiche su eventuali ferite sul corpo della giovane oltre a quelle prodotte dall’impatto con il suolo. E l’avvocato Natale, nella sua prossima arringa, punterà proprio ad ottenere l’assoluzione. Poi la parola passerà ai giudici per la sentenza.